Studiando Karate nessuno potrà sostituire la figura del sensei. La parola, costituita da due ideogrammi 'sen' che significa avanti e 'sei' che significa vita, vuole significare colui che è avanti nella vita. Il sensei dunque è la guida, colui che è più esperto, vecchio di pratica e merita ogni rispetto. Il sensei ha a cuore la vita degli allievi e crede nel suo insegnamento. Mostrate rispetto ed ascoltate il vostro sensei. Non vuole essere il migliore, vuole solo mostrarvi la via e nel farlo ha bisogno della vostra fiducia. Il vero sensei è anche sensei nella vita e non solo nel dojo. Seguendolo forse un giorno potrete essere non solo bravi praticanti ma uomini migliori nella vita
Si dice che il karate inizi e finisca con il rei (saluto), che oltre ad essere cortese significa soprattutto rispetto. Chi pratica karate dovrebbe sapere che la tradizione giapponese tratta con rispetto sia le persone per le cose e nulla deve essere preso per scontato. La radice di sinistra di rei vuol dire divinità e quella di destra bontà. In altre parole rei è lo spirito di gratitudine verso la bontà, significa apprezzare la buona fortuna nelle cose. Cosa sarebbe il karate senza 'rei'? Sarebbe una pratica senza rispetto dove il rischio di creare danni fisici e morali sarebbe elevato. Nel karate, come nella società, i rapporti interpersonali poggiano gran parte della loro essenza sulla cortesia ed il rispetto delle regole sociali. Il modo con cui gli allievi mostrano il loro rispetto nel dojo è attraverso l'inchino, col maestro, tra compagni, prima e dopo le gare. Inchinarsi è un modo di comunicare l'impegno ad imparare da altri ed è il riconoscimento del lavoro e la devozione che tutti hanno verso il karate. Applicare la regola del rei fuori dal dojo è un modo semplice di condurre una vita rispettosa. Ringraziare gli amici che hanno partecipato ad una nostra serata significa apprezzare lo sforzo che hanno fatto per essere presenti. Imparare il rei a scuola nel karate porta a praticarlo anche fuori. Non prendiamo mai le buone cose o le buone persone per scontate.
Coloro che praticano karate indicano come dojo il luogo di pratica. Do significa via e jo significa posto, luogo. Dojo significa il luogo dove si percorre la via. Via intesa come sentiero di vita per una crescita fisica e spirituale. Questa visione della vita come via da percorrere è molto consueta tra gli orientali. Per loro la vita è un sentiero che inizia alla nascita e termina con la morte. E' una via a senso unico. Non si può tornare indietro. Vivendo giorno per giorno, anno dopo anno, non un solo secondo tornerà mai più. Ecco perchè nel karate la via da percorrere deve essere vissuta al meglio di noi stessi con onore e coraggio per affrontare qualsiasi difficoltà lungo il percorso. Non fare il proprio meglio nel dojo significa perdere il proprio tempo inteso come spazio di vita. Durante il viaggio spesso si incontrano persone e talvolta si diventa amici o si finisce per vivere assieme. In Oriente il dojo diventa spesso luogo di ritrovo dove si festeggia. Non è solo un luogo dove si soffre ma si deve anche gioire nel proprio dojo. L'inchino entrando ed uscendo dal dojo, ormai dimenticato da molti praticanti, non è una formalità, è un modo per rispettare il luogo e le persone che vivono con noi in quel luogo. Sta anche al sensei insegnare queste cose. Pur non essendo il karate una religione, mostrando un dovuto rispetto è segno che non si deve mai dare per scontato il luogo di pratica con i suoi benefici che ne derivano e le sofferenze che a volte ci procura, affinchè si possa percorre meglio e più serenamente la via della nostra vita.
Uno degli aspetti del karate che colpisce maggiormente i nuovi praticanti è senza dubbio il kiai. La parola Kiai viene composta dai termini: 'ki' mente, volontà, disposizione d’animo, spirito carattere ecc... 'ai' contrazione della parola 'unire'. Il kiai segna il punto delle arti marziali in cui i fattori esteriori, tecniche e armi, vengono subordinati a fattori di interiori di controllo e potenza. Quando se ne parla per la prima volta quasi tutti sorridono: è difficile comprenderne la validità che è essenziale nella pratica. Fare kiai significa emettere un profondo e forte suono che provenga dal basso addome, causato da una violenta contrazione dei muscoli addominali. Unitamente alla forte contrazione deve esserci una forte determinazione psichica; il kiai, in ultima analisi, risulta essere la massima concentrazione psicofisica, nell'esecuzione di una tecnica. Psicologicamente è l'arte di concentrare tutta l'energia sia mentale che fisica (ki) sopra un oggetto singolo con la determinazione di finire o soggiogare questo oggetto. L'emissione del kiai durante la tecnica o il combattimento porta il soggetto in uno stato mentale superiore. Tutti hanno il ki (chi o qi in cinese) ma non lo sanno canalizzare correttamente. Nelle arti marziali si cerca di educare le persone ad un uso corretto del ki ed a controllarne le potenzialità. La medicina moderna ci ha spiegato anche i fattori fisiologici entrano in gioco nei processi energetici. Il fatto di espirare durante la massima distensione o contrazione muscolare attraverso una spinta del diaframma e non polmonare migliora sensibilmente il controllo e la reattività muscolare in quell'istante. La corretta respirazione inoltre migliora le prestazioni fisiche sotto sforzo grazie ad una liberazione controllata anche di fattori chimici (ormoni, neurotrasmettitori, ecc.) che in certe situazioni sono fondamentali nella gestione psico-fisica di gesti tecnici importanti.
Nelle discipline sportive e nelle arti marziali si tiene troppo spesso in considerazione l'importanza della preparazione tecnica, fisica, ma non un aspetto cruciale che si riflette anche sulle persone nella vita di tutti i giorni che è la volontà e la motivazione al successo. L'importanza della motivazione durante la preparazione di una attività viene espressa in giapponese con la parola yoi, che sta a significare pronto. Il primo ideogramma 'yo' significa uso, utilizzo mentre il secondo 'i' vuol dire volontà o motivazione. Essere pronti vuol dire essere motivati. La parte forse più importante della preparazione infatti sta nella nostra mente e non nel corpo. L'ideogramma 'i' è costituito dalla radice kokoro che significa cuore o mente e non che vuol dire forzare. La motivazione è qualcosa che noi forziamo nella nostra mente dal cuore. E' sicuramente un'immagine che calza nel karate prima di una verifica che possa essere una gara, una dimostrazione, un esame. Quindi ogni volta che sentiamo un maestro, un istruttore dire yoi rammentiamo il significato di star pronti del giapponese: essere pronti è essere motivati.
Molte persone ritengono che una volta ottenuta una cintura nera, nel karate od in qualsiasi altra arte marziale, non vi sia quasi più nulla da apprendere per perfezionarsi. Ciò non è corretto, tant'è che le cinture nere hanno i loro gradi che si chiamano proprio dan e partono dal primo per salire verso vette di sette, otto o più dan. L'ideogramma dan significa grado, livello. Una scalinata in giapponese infatti si chiama kaidan. Anche discipline non marziali hanno i loro dan pur non portando i loro rappresentanti cinture colorate: il gioco degli scacchi per esempio ha i suoi dan. Una cosa meravigliosa del karate è il numero pressochè illimitato di cinture nere che si possono assegnare. Se si pratica con dedizione e diligenza si potrà sicuramente raggiungere la meta della cintura nera per poi proseguire verso altri dan, qusto dipende solo dalla costanza e dagli sforzi di ognuno.
Il karate è un'arte di meditazione, un modo per fare riflessioni su sè stessi nel presente. Ed è per questo che si va nel dojo a praticare, cercando di dimenticare le circostanze che ci contornano nella vita di tutti i giorni, provare a rendere perfetti almeno i pochi momenti in cui si pratica karate. Per raggiungere questo scopo ci si siede in ginocchio per alcuni istanti prima e dopo l'allenamento e si pratica il mokuso. 'Moku' significa silenzio e 'so' signifca pensare. A discredito di ciò che comunemente molti pensano e cioè che la meditazione porta a vuotare una mente, mokuso significa invece diventare pienamente coscienti dei propri pensieri. L'ideogramma 'so' infatti contiene parti che significano occhio e mente. Messi assieme significano guardare nel proprio cuore. Mokuso dunque non è astrazione ma un momento pieno, ricco di pensieri sulla vita. Durante queste pause in silenzio i karateka mettono a fuoco la vita del presente verso la pratica del karate prima ancora di iniziare. Alla fine dell'allenamento il mokuso diventa una opportunità per reinserirsi nella vita al di fuori del dojo. Gli aspetti meditativi del karate favoriscono sicuramente lo stato mentale di apprezzamento verso la vita nella sua essenza. Il mokuso viene anche inteso come riflessione sul tempo speso nell'allenamento. Abbiamo fatto del nostro meglio? Siamo rimasti concentrati durante la lezione?....Oppure il mokuso può essere un momento di gratificazione che ci incoraggi a fare meglio una prossima volta.
Star seduti in modo corretto fa parte di molte Arti giapponesi. Seiza che origina dagli ideogrammi di 'sei', corretto, e 'za', seduto è una forma di etichetta che troviamo non solo in Oriente ma anche in Occidente. Lo star seduti, ginocchia a terra, collo del piede appoggiato al pavimento, sedere appoggiato ai talloni è il modo corretto di far seiza. Le donne tengono le ginocchia unite, gli uomini possono distanziarle di un pugno o due.Schiena diritta e mani appoggiate alle coscie. Mento leggermente retratto, piede destro sopra il sinistro e soprattuto restare rilassati. Secondo coloro che siedono solitamente così il seiza è posizione molto comoda. Perchè allora tanta attenzione se si deve poi star comodi. Diciamo che seiza rassomiglia ad una posizione di riposo che tengono per esempio i militari, non si sta completamente rilassati ma nemmeno sull'attenti. Si sta vigili. Durante la pratica del karate non si deve mai essere troppo rilassati. La mente deve essere sempre pronta a reagire. Perciò spesso in seiza si fa anche mokuso. Anche da seduti dunque nel karate mostriamo di non restare mai in ozio e che il nostro tempo non va lasciato trascorrere senza la giusta tensione emotiva.